La pandemia ha cambiato la nostra idea di lavoro basti pensare alle nuove modalità lavorative che sono state introdotte e che ormai sono entrate a far parte della nostra quotidianità, prima fra tutte quella dello smart working..
Eppure per molte categorie di lavoratori essere fisicamente presenti nei luoghi di lavoro è un elemento imprescindibile e necessario per l'esercizio della propria professione.
Questi soggetti sono maggiormente esposti al rischio contagio, il quale per l'appunto può avvenire in ambiente lavorativo entrando in contatto con colleghi o clienti positivi al virus.
Ma in questi casi si parla di infortunio sul lavoro o malattia?
Generalmente qualora la trasmissione avvenga in contesto lavorativo o nel tragitto per raggiungere il luogo di lavoro viene considerata infortunio, mentre se il virus viene contratto al di fuori dell'ambiente lavorativo si parla di malattia. Nel primo caso la tutela dei lavoratori spetterà quindi all'INAIL, nel secondo caso all'INPS. Per i lavoratori soggetti a rischio "specifico" (attività che l'INAIL definisce a costante contatto con il pubblico o l'utenza) non è necessario l'accertamento di tipo medico.
Il datore di lavoro, come in qualsiasi altro caso di infortunio, è obbligato a presentare denuncia di infortunio, sarà poi il medico a stilare il certificato e a trasmetterlo all'Inail.
Il datore è tenuto al pagamento dell'intera retribuzione per il giorno in cui venga attestata la positività, importo che sarà ridotto poi del 40% nei tre giorni successivi.. Per coloro i quali abbiano rifiutato di sottoporsi alla vaccinazione e siano risultati positivi è garantita comunque la tutela assicurativa dell'Inail ma non il risarcimento del datore.
Responsabilità di tipo civile e penale del titolare potranno essere attribuite solo per violazione della legge o del Protocollo anticontagio obbligatorio per le attività.
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